di Riccardo Masini /
No, sul serio… nel senso, io metto su un bel giocone su Waterloo. Che può andare dal NaW introduttivo di tre pagine al La Bataille du Mont Saint Jean che non ha tre pagine, bensì almeno tre interi sistemi di regole differenti e ancora non si capisce quale usare (ok, esagero un pochino… però gli appassionati di La Bataille mi capiranno). E con tutto questo sto davvero giocando alla “vera Waterloo”?
Ma manco per idea, risponderebbe uno storico evidenziando le mille diverse (e inevitabili) distorsioni dei vari giochi. E io stesso ho ricordato su di una moltitudine di media diversi le opinioni di quei grandi autori secondo cui la Waterloo che giochiamo in un gioco è quella vista dal suo designer, modificata dal suo editore, aggiustata dal suo sviluppatore, nata dalla specifica ricerca storica preliminare, condizionata dalla visione dell’evento storico prevalente nell’anno e nel contesto culturale nazionale della sua pubblicazione. James Buckley in un recente articolo sull’ultimo C3i sostiene che noi ci illudiamo di giocare una “historical simulation”, mentre in realtà stiamo ricercando solo una “historical stimulation”, ossia un’impressione, un’idea di Storia che forse con la Storia stessa ha relativamente poco a che fare. Non sono del tutto d’accordo (al di là della geniale allitterazione), ma c’è comunque da riflettere su questa opinione e soprattutto un tocco di umiltà che non fa mai male.
E non è solo questo. Perché le Waterloo che stiamo giocando sono almeno pari al numero dei giocatori con cui le stiamo giocando, più noi stessi. Insomma, ognuno attorno al tavolo anche durante la stessa partita allo stesso gioco si fa una propria immagine della Waterloo che sta avvenendo, la vive in una propria maniera (competitiva, narrativa, matematica, rigorosa, rilassata…), ne ottiene una propria esperienza diversa da quella di tutti gli altri. E magari in una sessione successiva o anche durante la stessa sessione, tutta questa “visione” personale cambierà ed avrà una propria evoluzione, dipendente o meno dagli eventi della partita (cali di entusiasmo, sorprese improvvise, distrazioni, colpi di genio…).
La cosa vale perfino per i solitari! Ripenso alle mie partite al bel Vive l’Empereur! e al mio “rapporto complicato ma stravolgente” con Western Front Ace, cose di cui molto ho parlato in questo gruppo… La mia esperienza cambia a seconda dell’umore della serata, dei mutamenti nella mia opinione sul gioco, di ciò che ho letto da parte di altri…
Ecco perché forse non si può parlare di una singola tipologia di esperienza quando ci avviciniamo ad un fenomeno così elaborato e sfaccettato quale è il gioco di simulazione storico, e men che meno a un modo “giusto” o “sbagliato” di viverlo. Se non altro perché noi stessi lo viviamo ogni volta in maniera diversa, e lo stesso fanno gli altri giocatori, creando al massimo una “media di esperienze” che può essere considerata valida e definire (in qualche modo) quali emozioni e stimoli intellettuali possa dare un determinato gioco, regolamento, scenario o sistema.
Il tutto mantenendo dunque un’unica, vera regola: permettere a tutti di vivere il gioco di simulazione come vogliono e come gli pare più naturale, anche quando durante la stessa partita tale modo è radicalmente opposto al nostro (con il patto che anche loro facciano altrettanto nei nostri confronti, “reggendo il gioco” a tutti senza mandarlo a monte).
Solo allora la domanda assume una sua forma più interessante, ovviamente e felicemente plurale: a che giochi stiamo giocando?
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