di Riccardo Masini /
Chi sta seguendo il Kickstarter delle BattleCards (troverete diversi post al riguardo sul gruppo) avrà forse notato una citazione dotta in uno degli ultimi aggiornamenti: un vecchio articolo del 1977 del grande Redmond A. Simonsen (per chi non lo conoscesse, il grafico della SPI che ha inventato buona parte delle convenzioni visive dei wargame attuali: classificazione delle mappe, regolamenti, pedine, presentazione delle tabelle, ecc.) dal titolo “Naturalism vs. Realism in Simulation Games”.
Non starò a dilungarmi troppo in una disamina approfondita dell’articolo (vi lascio poi il link in coda al post), ma il concetto fondamentale è la distinzione tra approccio “naturalistico” e approccio “realistico” nel gioco di simulazione. I termini, tratti dalla storia dell’arte e per di più mutuati dalla lingua inglese, potrebbero trarci in inganno: naturalismo è la riproduzione pedissequa dei dettagli del soggetto ritratto, realismo è invece una sua rappresentazione concreta e facilmente riconoscibile dallo spettatore. Tenete infatti conto che il nostro Simonsen, prima di essere un appassionato di wargames e anche autore di alcuni titoli, si considerava e in effetti era un artista a tutto tondo: grafico, illustratore, fotografo.
Proprio da queste posizioni partiva il nostro, ritenendo il gioco di simulazione una sorta di “visione artistica” di una realtà di riferimento, una specie di “fotografia del passato”… e non a caso il logo della SPI è sì un esagono, ma i più attenti scorgono in quell’esagono le “lamelle” dell’otturatore di un obiettivo fotografico che si chiudono e si aprono quanto basta per ottenere una rappresentazione corretta della realtà, ma anche semplicemente “bella” e appagante.
Ecco, corretta. Perché per Simonsen esistono molti giochi “naturalisti”, che riproducono quanti più dettagli possibili di una data situazione, accumulando sistemi su sistemi, tabelle su tabelle, meccaniche su meccaniche… un po’ come quei quadri fiamminghi in cui puoi intravedere i semini degli acini dell’uva messa sul tavolo, o letteralmente contare i soldi nella borsa del mercante, o le ciocche di capelli delle dame ritratte. Ma allo stesso tempo esistono tanti altri giochi in cui quei dettagli staccati vengono ricompresi e reinterpretati in una visione complessiva non solo più fruibile dallo spettatore/giocatore, ma anche più capace di coinvolgerlo, emozionarlo e farlo riflettere su ciò che sta vivendo. Lì, per Simonsen, sta la vera arte del game designer, cogliere e trasmettere non solo e non tanto il dettaglio della realtà, bensì la sua essenza: quello è il vero realismo.
Ovviamente naturalismo e realismo possono (anzi, devono!) convivere, anche nella visione di Simonsen. Il primo, quando non cerca di farsi passare per realismo, serve per dare punti di riferimento fondamentali, mentre il secondo se privo di ancoraggi specifici risulta troppo vago e astratto. Né è la complessità il vero metro di giudizio, poiché esistono giochi naturalistici molto semplici e giochi realistici molto complessi.
Qui non parliamo di quantità, bensì di qualità delle regole… e qui troviamo anche il vero problema, ossia che l’approccio naturalistico è *apparentemente* il più simulativo, mentre quello realistico sembra esserlo molto meno. Simonsen all’epoca considerava un esempio del primo tipo 1914, un esempio del secondo World War One (peraltro entrambi titoli di Dunnigan). Oggi avremmo altri titoli, ciascuno scelga il suo… ma Simonsen scrive anche, con una certa tristezza:
“My instincts tell me that, given the choice between a very naturalistic (but basically untrue) “simulation” game and a very realistic (but non-obvious) simulation game, most players would be seduced by the former and be lukewarm to the latter.”
E questo perché:
“Notwithstanding all its numbers and probabilistic tables, a wargame is closer to a work of art than a work of technology – it is an abstraction of an aspect or aspects of the object. Just as in art, the level of abstraction is not directly related to the level of realism (strictly defined) found in a given game. The higher one goes into the levels of abstraction, the less obviously realistic the game will seem; the lower the level, the more apparently realistic the simulation will seem.”
Forse quel che RAS scriveva nel 1977 è vero anche oggi. Forse ancora di più.
Di sicuro, tutti noi dovremmo rileggerci quell’articolo e riflettere bene quando ci avviciniamo ad una qualsiasi forma di simulazione (boardwargame, gioco per miniature, gioco di ruolo, gioco da tavolo ibrido) e ci viene da dire: “Un gioco divertente… ma certo non realistico”.
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