di Riccardo Masini /
Spesso ci siamo detti in queste pagine che il giocare con la Storia può essere senz’altro considerato un passatempo “serio”, nel senso di occupazione che richieda un certo impegno, una certa volontà di approfondimento sui temi, una certa predisposizione alla curiosità e alla ricerca, che magari in altre forme più “casual” (ma non per questo meno interessanti) di gioco possono anche non esserci. Tuttavia, ci siamo sempre ugualmente ricordati a vicenda, non deve mai essere “serioso”, ossia compulsivamente ossessionato dal dettaglio, dalla regoletta, dalla rappresentazione iperprecisa di questa o quella dinamica storica, se vuole mantenere da un lato una facilità di approccio (giocabilità) e dall’altro quel senso di libertà che rimane requisito imprescindibile del concetto stesso di gioco (apertura e leggerezza).
Vi sono però almeno altrettante motivazioni, e di queste se ne parla piuttosto di rado, per cui proprio il gioco storico non solo non deve essere troppo serioso, bensì è bene che sia esattamente il contrario: che non rinunci ad una certa predisposizione… allo sberleffo.
Perché, se ci pensate bene, è proprio questa l’idea alla base della nostra simulazione, ossia il fatto che giocando con la Storia la si possa rimettere in discussione, ritenerne non più inevitabili gli esiti, introdurre variabili impreviste all’interno di equazioni causali ritenute immodificabili, dissacrare figure troppo spesso mitizzate o rinchiuse dietro le rispettive “teche di cristallo” della memoria. Giocarci, insomma, scherzarci perfino. Un po’ come nella danza con la morte del Ballo in fa diesis minore: far “ballare” così tanto questi eventi spesso tragici e luttuosi, e anche i loro protagonisti molto meno eroici e geniali di quanto si possa pensare, da far sì che essi del tempo “non sian più signori”. Riconducendoli, quasi una beffa dopo l’altra, ad un piano molto più umano, comprensibile e quindi liberamente criticabile, non però tramite il semplice “jocus” o mascheramento carnevalesco che scherza in un modo fine solo a sé stesso, bensì il più razionale “ludus” che rimette in discussione la realtà per portare a forme più elevate di conoscenza e consapevolezza.
Pensate che sia una roba solo teorica, un vuoto “filosofeggiare” su quello che in fondo è “solo un gioco”?
Beh, invece è proprio in virtù di questo spirito che i primi wargame avevano un così grande seguito negli USA negli anni Sessanta e Settanta non solo tra gli appassionati di certi argomenti o magari tra gli stessi militari, ma anche in quei campus universitari in cui si studiava la Storia per contestarla (e non la si contestava e basta, senza volerla realmente conoscere) e quindi si riteneva il gioco uno strumento fondamentale a questo scopo, una sorta di “arma” potentissima da impiegare nella battaglia culturale e non violenta contro il mito del comandante infallibile (Alessandro Magno, Napoleone, Lee, Rommel… scegliete il vostro…) e contro l’epicità astrusa e crudele della guerra (di nuovo, Balaclava e il bellissimo film con David Hemmings: non a caso, annata 1968).
E’ sempre da qui che anche nel nostro Paese si raccoglie il messaggio profondo di una visione a un tempo precisa e dissacrante della Storia che va dalla Trilogia degli Antenati di Calvino alle rielaborazioni di Eco, entrambi appassionati di giochi pur se di varia natura, o dai meravigliosi albi di un Bonvi espertissimo cultore di militaria (le Sturmtruppen, certo, ma anche il suo magnifico albo su di un immaginario ammutinamento della flotta russa del Baltico subito prima di Tsushima). Una corrente che nel nostro mondo ludico sarà portata avanti da molti articolisti di Pergioco e di altre pubblicazioni successive, sfociando in quel magnifico atto di protesta civile e al tempo stesso splendido sberleffo del potere che fu l’indimenticabile Corteo (per certi versi, anche autosberleffo della contestazione e delle sue mille contraddizioni, con un giocoso ripudio della violenza relegata solo al tavolo da gioco e del tutto figurata, quindi pericolosissima provocazione ad un Potere ormai stantìo proprio in quanto mortalmente serioso).
Insomma, il tutto basato su serissime basi storiografiche, e con uno spiritosissimo senso della burla, se non della beffa alle verità precostituite.
E oggi?
Beh, oggi si continua o meglio, si può continuare. Forse, si deve continuare in questo solco. Quando vediamo un gioco e non rimaniamo schiavi dei suoi numeri e numeretti, ma li rimettiamo sempre in discussione e magari li modifichiamo sulla base delle nostre conoscenze (o, perché no, delle nostre legittime inclinazioni). Quando apprezziamo con un sorriso le divertenti e ironiche espressioni usate tanto da un Richard Berg quanto da una Amabel Holland per descrivere questo o quell’episodio curioso all’interno di una battaglia. Quando non giochiamo dei “titoloni” solo perché qualcuno ci ha detto che “se non lo giochi, non capirai mai l’antico/medievale/napoleonico/seconda guerra mondiale”, ma perché ci piacciono (o non ci piacciono) e basta, al di là della loro semplicità o complessità. Quando ricordiamo che sì, è solo un gioco, che però si basa sull’assunto che gli eventi bellici rimangono sempre delle tragedie, il cui effetto finale richiede – quello sì – una certa serietà di approccio e non un mero tifo calcistico per un colore anziché un altro. Quando non passiamo più ore a dirci che una mappa deve essere montata o meno, che un segnalino deve essere stondato o meno, che un punto vittoria deve essere in un quadratino o meno, che una certa edizione è quella migliore o meno… insomma, quando ci ricordiamo di giocare su tutto, compresi noi stessi e la nostra passione.
Ecco, quando facciamo tutto questo, solo allora coltiviamo quell’antica e nobile arte dello sberleffo e solo allora giochiamo davvero con la Storia.
Ma, mi raccomando, non prendete queste mie parole troppo sul serio.
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