di Riccardo Masini /
In tutto questo parlare di Normandia e di anniversari, è spuntato fuori un titolo classico tanto particolare quanto poco conosciuto: Onslaught.
Torniamo con lui in quel “momento di mezzo” tra l’epoca d’oro dei wargames di fine anni Settanta, alla soglia di quella che sarà la grande crisi degli anni Novanta e dei primi Duemila. Siamo quindi nel 1987, mentre l’Avalon Hill si difende ancora, la Victory Games comincia la sua traiettoria e le case più piccole (GDW, West End ed altre) hanno il loro momento di gloria, la SPI è già andata a gambe all’aria da tempo ma ancora escono scatole con il suo logo, stampate dalla TSR. Non tutti i titoli sono il massimo, è chiaro, spesso sono progetti lasciati un po’ a metà, riedizioni fatte alla bell’e meglio, titoli con buone idee ma poco testati… tuttavia, ogni tanto qualcosa di buono esce. Ma di buono davvero.
Onslaught fa parte di quel “qualcosa”. L’idea è “Creiamo una serie di giochi “Lightning”, ossia non esagerati come i monster che stanno spopolando tra gli specialisti, bensì titoli semplici, belli corposi ma adatti anche per chi comincia. Roba rapida, Lightning appunto, con partite che non superino le 4 ore.”
Ora, tralasciando sorrisi e battutine su quella che all’epoca veniva considerata “durata adatta ai principianti”, Onslaught soddisfa tutti questi requisiti, e in particolare ha:
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Unità storicamente corrette (fanteria, corazzati e altro) ma generiche, più semplici da piazzare e senza troppe regolette speciali a corredo.
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Regolamento molto lineare e snello, comprensibile immediatamente da un esperto e assolutamente “digeribile” anche da un principiante.
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Sistema di attivazione innovativo: non un IGOUGO rigidamente alternato (“Muovo tutto io, poi muovi tutto tu”), bensì un tiro contrapposto ad ogni attivazione: chi fa di più muove per primo, se facciamo uguale il turno finisce… roba che rende il gioco sia sempre diverso ad ogni partita, sia perfetto anche per il solitario.
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Sistema di gestione logistica “a punti”: per fare qualsiasi cosa, muovere o attaccare, spendi punti risorsa e ovviamente l’Alleato ne ha di più del Tedesco.
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Poche regole speciali ma ben pensate, tra le quali ricordiamo la sequenza iniziale degli sbarchi, i lanci dei paracadutisti, gli sfondamenti corazzati, una possibile controffensiva stile Ardenne per il Tedesco.
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Andamento fluido della partita, con apertura di un nuovo fronte più a Sud in un momento cronologicamente corretto per rappresentare il ricongiungimento con l’Operazione Dragoon, ossia lo sbarco alleato in Provenza.
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E infine… che meraviglia la spiegazione delle manovre storicamente eseguite, illustrate tramite il movimento delle pedine sulla mappa di gioco…
Ora, tenete conto che non l’ho mai giocato e quindi queste sono semplici osservazioni “di lettura” del regolamento, però la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di interessante è forte. Purtroppo non dovettero pensarla così nel 1987, visto che poi la serie Lightning (a quel che so io) non andò mai oltre questo primo titolo, forse anche per le vicissitudini della malagestione del catalogo SPI.
Il problema era forse che Onslaught veniva venduto come “wargame leggero”, ma era il classico “wargame medio”, non abbastanza elaborato per gli esperti, non abbastanza immediato per i principianti… anche se adesso, con la situazione attuale del pubblico del gioco storico in cui anche gli esperti con meno tempo potrebbero apprezzare cose più leggere ma non banali, verrebbe da dire, sarebbe un titolo molto interessante da riproporre e ristampare, no? Così tanto che, in effetti, è stato riproposto e ristampato, solo che con un altro nome.
Ed ecco entrare in campo 1944: D-Day to the Rhine, altro gioco che è spuntato fuori in questi giorni, e che riprende proprio alcune di quelle meccaniche: unità generiche, regolamento snello, lo stesso identico sistema di punti risorse, poche regole molto intuitive… nel nuovo titolo Worthington non c’è il discorso dell’attivazione casuale (che però ritroviamo negli area impulse e in alcuni titoli più recenti della Avalanche Press), e in più troviamo il fatto che le condizioni di vittoria sono scelte in segreto dall’Alleato (ma questo l’autore, Dan Fournie, l’ha preso dal classico Battles for the Ardennes, il quale a sua volta prendeva spunto da altri titoli precedenti…), però la derivazione appare realmente molto chiara. Così chiara che, in effetti, non vi ritroverete 1944: D-Day to the Rhine al nostro evento da remoto del 30 giugno solo perché non ne è mai stato fatto un modulo Vassal o TTS. E sì, oggi consideriamo 1944 un wargame leggero a tutti gli effetti, in virtù della presenza di fattori di snellimento come i dadi speciali per il combattimento e la durata che non supera le 2-3 ore.
Morale della favola? Al di là delle oscillazioni temporali nelle definizioni di wargame leggeri e medi, vi sarete conto della linea evolutiva che lega tra loro tutti questi titoli, negli anni Settanta come nel 1987, nei primi anni Duemila come nel 2024.
I nuovi wargame cercano strade alternative… questo significa che si discostano troppo dai grandi classici e ne tradiscono la memoria? Al contrario, fanno esattamente quello che gli stessi grandi classici hanno fatto ai loro tempi.
I nuovi wargame, allora, riprendono tante meccaniche già sperimentate in passato… questo significa che sono solo delle copie e non stanno inventando nulla? Al contrario, rispettano così tanto la tradizione che ne seguono gli esempi e li rielaborano.
Insomma, non possiamo incolpare i nuovi wargame allo stesso tempo sia di ingratitudine che di scarsa originalità nei confronti della tradizione. Quel che viene fuori da questa storia è che in effetti i nuovi wargame non solo rispettano, ma seguono perfettamente le linee evolutive della tradizione, e che quindi la contrapposizione “vecchio/nuovo” non ha in fin dei conti molto senso di esistere.
I nuovi wargame SONO la tradizione, e così verranno definiti quando se ne tornerà a parlare nel 2064: la Storia, come ci ricordano sempre le regole del movimento sui nostri amati esagoni, non procede mai a salti ma per linee continue.
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