di Riccardo Masini /

Mi riguardavo l’altro giorno un po’ di foto per il libro nuovo e degli articoli da fare, e mi sono imbattuto nelle immagini di Versailles 1919. Ho anche ritrovato dei miei vecchi appunti per il WLOG che ci ho fatto sopra e almeno in tre punti campeggiava la scritta: “Serve il gruppo giusto per apprezzarlo”. Una frase all’apparenza quasi scontata, che però ho visto essere riferita anche ad altri titoli o un po’ fuori dal consueto, o che se non vissuti nella maniera “corretta” perdono il loro appeal narrativo facendoti concentrare più sulle meccaniche del gioco che sulle dinamiche degli eventi rappresentati (cosa che, ce lo diciamo spesso, va a finire con il danneggiare l’elemento simulativo che contraddistingue il gioco storico).
All’epoca e anche dopo ho spesso considerato questo come un limite di certi titoli. Voglio dire, se non lo “vivi” bene, se non gli dai una mano con la tua immaginazione, quel gioco non ti porta dentro alla situazione e finisce col ridursi ad un “conta +1 o conta -1… metti cubetto o togli cubetto… fai la tua maggioranza qui o blocca la maggioranza di un altro lì”. A testimonianza di ciò, sempre in quel WLOG su Versailles lamentavo che le carte delle questioni da risolvere nella Conferenza del dopo Prima guerra mondiale non riportassero note storiche per spiegarle bene, lasciando i giocatori a tu per tu con una mera descrizione grafica dei possibili risultati. Solo la plancia (bellissima) cercava disperatamente di portarti dentro l’epoca, con la scrivania in legno, gli scrittoi in pelle e la penna stilografica “appoggiata” tra un foglio e l’altro del trattato da scrivere.
Però mi sto un po’ ricredendo.
Guardando quelle vecchie foto mi sono ricordato di cosa disse il professor Luca Giuliano ad una conferenza da me organizzata presso il MACRO di Roma tanti anni fa riguardo al gioco di ruolo come “narrazione condivisa”. Giuliano si è sempre occupato più di gdr, è chiaro, ma lo considero ugualmente un modello di metodo per le ricerche che ho compiuto in seguito e a lui sono molto debitore… e quindi mi sono chiesto: “E se applicassimo questa idea a tutto il gioco di simulazione nel suo complesso?”.
Ecco, narrazione condivisa. Che quindi vive del contributo di ogni singolo giocatore, e quindi del “gruppo giusto” che sappia farsi coinvolgere e quindi “interpreti” bene la sua parte di negoziatore britannico, francese, americano o che altro, non solo sentendo il “tema” della simulazione ma realmente lasciandosi andare a negoziazioni e trattative, anche al di là di quel che richiede strettamente il gioco perché… perché sì, se è un gioco diplomatico, viviamolo così e ci divertiamo tutti di più!
Però il gioco di simulazione in senso più stretto ha un vantaggio sul gioco di ruolo: che va avanti uguale e che le narrazioni dei suoi partecipanti non solo non devono essere necessariamente convergenti, ma possono anche non essere portate avanti da tutti. Alla fine, anche se un partecipante su tre continua a ragionare in termini di conta dei cubetti mentre gli altri si sentono Primi Ministri di questo o quel Paese, se il sistema di gioco è solido, alla fine la partita andrà comunque avanti: alcuni avranno partecipato alla narrazione altri no.
Detto ciò, quella necessità di “avere il gruppo giusto” (concetto che si applica più spesso ai multigiocatore, per ovvie ragioni, ma che alla fine ritroviamo anche nei titoli da due o perfino nei solitari!) potrebbe essere non tanto o non solo un difetto, ma una cartina di tornasole o addirittura un pregio per un titolo.
Significherebbe insomma che sì, lo puoi anche vedere solo come un gioco di combinazioni, ma quel titolo specifico (di nuovo, sempre che abbia un substrato simulativo sufficiente e un meccanismo ludico ben congegnato alla base!) può anche essere vissuto come uno spunto narrativo e interattivo, ispirato agli eventi storici che sta simulando. Anzi, se lo vivi così ti divertirai ancora di più, quasi un premio per aver superato la sfida che ti pone: quella di essere il gruppo giusto.


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