di Riccardo Masini /

The Landing: Gallipoli 1915
Sì, è Gallipoli. Sì, è un massacro. Sì, è un solitario semplice semplice… ma non è per niente un “giochino” leggero.
Il resto del racconto, lo trovate sotto ogni fotografia…


La situazione. Abbiamo un giorno di tempo. Tre fasi, quattro carte per fase. Gli Australiani scendono dalle barche all’alba, i Neozelandesi arriveranno sulla spiaggia a mezzogiorno. La missione: prendere tutte le postazioni dell’area prima che i Turchi riescano a fortificarsi e a stabilire una zona difensiva. Se non arriviamo ad occupare l’ultimo terreno, si saranno trincerati e chissà quanti dei nostri compagni moriranno nei prossimi giorni.


La paura è tanta, e all’inizio ci rallenta. Riusciamo a radunarci sulla spiaggia, anche se alcuni sono già presi dal panico. Arrivano anche i primi colpi di fucileria turca, per fortuna inefficaci: siamo ancora troppo distanti.


4) Turno 5 (D-Day +4: 10 giugno)
Esasperati per la lentezza dei progressi, gli Alleati cambiano passo e procedono a rischiose operazioni di avanzata sotto il fuoco difensivo nemico. Vengono in particolare investite per la prima volta le zone cruciali di Carentan (USA) e Caen (Commonwealth). In quest’ultima città, solo la porzione orientale viene attaccata direttamente, usufruendo del sostegno di alcune formazioni della Resistenza locale; nella zona a Ovest, invece, i Britannici e i Canadesi riescono con fatica a bloccare un proditorio contrattacco della 12a SS Panzer partito dalla stessa Caen e che minaccia da vicino le spiagge di Juno e Sword, il tutto grazie al miglior coordinamento alleato che permette di ritirare alcuni risultati decisamente sfavorevoli.


Finalmente sono sbarcati anche i Kiwi! Forza, ANZACs, facciamogliela vedere, tutti insieme! Ci si raduna tutti in una nuova area e si eliminano senza tanti complimenti i pochi difensori presenti.


“Possiamo farcela, ragazzi! Tutti con me!” urla il caporale, facendoci cenno col braccio. Poi non lo sentiamo più. Non lo vediamo nemmeno. Tutto intorno a noi, c’è solo il fuoco, il fumo e la morte dell’artiglieria turca che ancora una volta ci butta a terra già solo con lo spostamento d’aria e il frastuono. Poi… di nuovo silenzio. Rialziamo la testa, ci guardiamo intorno… e vediamo uno spettacolo terribile. Il nostro povero caporale giace a pochi passi da noi. Il corpo è martoriato, ma il viso è stato risparmiato: la morte sa essere pietosa, quando vuole. Avrà avuto si e no un paio d’anni più di noi…


“Maledetti!” un grido si alza dalle nostre pattuglie, anzi più il ruggito di una bestia ferita. Ci lanciamo tutti in avanti, baionette puntate verso il nemico, incuranti del fuoco dei suoi fucili: il desiderio, anzi no il bisogno che sentiamo tutti di sfogare la nostra rabbia e vendicarci per la morte del caporale ci fa gettare al vento ogni prudenza. Adesso gliela facciamo pagare!


Ma anche i Turchi… beh, anche loro sono gente dura. Non stanno fermi in quella pineta ad attenderci. No, vengono avanti anche loro, con le baionette spianate! Sarà un lavoro di lama, non di pallottola. E alla fine la posizione è nostra, ma ci è costata cara: in tanti hanno seguito il caporale all’altro mondo.


E allora? Allora procediamo. Chi non ce la fa resta indietro, non c’è tempo. Verso quest’altra cima, quella che poi sarà nota come Russel’s Top, dal nome di un generale neozelandese. Ma che ne sanno questi ufficiali di cosa significa stare qui, a due passi dal nemico, a provare la sua stessa paura…


Avranno paura anche loro, ma questi Turchi non mollano! Ormai la sera si avvicina, e i pochi difensori superstiti ci fanno pagare ogni centimetro. Niente, la cima è ancora loro! Il tempo stringe…


Però noi abbiamo un asso nella manica, e si chiama “artiglieria”. E’ un reggimento indiano a gestirla, e sono precisi: contro i loro proiettili anche il più coraggioso tra i soldati del Sultano non può fare nulla. Siamo indietro con la tabella di marcia, ma le zone più impervie ormai sono alle nostre spalle. Com’è che diceva il caporale? Possiamo farcela…


Dannati cecchini! I Turchi sono rimasti in pochi e allora si nascondono dietro le rocce e ci sparano da lontano! Il loro fuoco ci blocca, perdiamo altri uomini e soprattutto altri minuti preziosi. Davanti a noi vediamo un altopiano da cui si domina tutta la zona: lo chiamano il Nek. E deve essere nostro.


Quindi, via alla vecchia maniera, come sappiamo fare noi del Down Under: baionette! I Turchi sono presi di sorpresa, tentano ancora di fermarci con la loro artiglieria, ma noi gli siamo addosso come delle furie e sbaragliamo gli ultimi difensori. Anche il Nek è nostro!


Manca solo un ultimo punto, una gola che… ma quelli chi sono? OK, sono giusto un pugno di nemici che ci attendono, però noi siamo in tanti, anche se molti sono rimasti indietro perché feriti o troppo scossi per continuare. E il tizio grosso lì in mezzo? Pare un sottufficiale nel dubbio gli regaliamo un paio di fucilate. Forse lo abbiamo colpito, ma lui sta ancora lì a berciare ordini: le parole non le capiamo, ma il tono di voce dei sergenti è lo stesso in tutto il mondo.


Quello non è un uomo, ma un demonio! Avanziamo ancora… e lui cosa fa? Con i quattro disgraziati che gli rimangono si getta contro di noi! Il loro contrattacco ci atterrisce. Gli ultimi Neozelandesi vengono trafitti dall’acciaio turco o costretti a ritirarsi, noi Australiani respingiamo quei maledetti… ma siamo troppo esausti ed impauriti per continuare. L’ultima cosa che vediamo alla luce del giorno è quel sergente col braccio fasciato che riorganizza i suoi uomini e ci blocca il passaggio: proseguire è impossibile, ogni metro che ci separa è ormai sotto tiro. Dietro di lui, in lontananza, intravediamo altre unità nemiche. Per un passo, solo per un ultimo dannatissimo passo, non ci siamo riusciti. Li sentiamo mentre cominciano a scavare buche, costruire ripari, piazzare mitragliatrici. Ben presto toccherà anche a noi fare lo stesso. E tanti dei nostri e tanti dei loro moriranno ancora. Che massacro… e del tutto inutile…


Conclusioni?
Che sarà anche semplice, ma è un gioco che ti fa sentire il tempo che scorre, la tensione delle cariche alla baionetta, il suono dei colpi di artiglieria sopra la tua testa, la rabbia per il terrore che paralizza i tuoi uomini e il senso di timore nel girare la prossima carta senza sapere chi o cosa ci troverai. Sì, le location sono a caso, sì ci sono tanti dadi, sì puoi perdere anche per una singola carta Fear come è successo a me. Ma non importa, ci sta, qui siamo nel caos più totale, non puoi controllare tutto. Visto che il tutto dura si e no 20-30 tesissimi minuti, puoi riprovarci un’altra volta, magari pensando di ricompattare meglio i tuoi (se ci riesci), sperando di non perdere il caporale così presto, magari cercando di capire come gestire al meglio la tempistica del tuo fuoco a distanza e delle tue baionette.
Però, davvero, non importa. Perché sei a Gallipoli, le pallottole ti fischiano nelle orecchie, i tuoi amici cadono uno dietro l’altro… e tu devi prendere quella maledetta collina!


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