di Riccardo Masini /
Sono diversi giorni che ho in prova con mio padre ed altri amici alcuni titoli che vorrei portare ai prossimi eventi di LudoStoria. Nello specifico, sono state le esperienze che ho fatto con due titoli (apparentemente) semplici come The Hunt e Milito a farmi riflettere.
Ora, vi ricordate il mio pezzo sul “gioco delle scelte”, ossia sul perché in diversi trovano così ostici e difficili da comprendere wargame hex and counter che oggettivamente hanno tre regole in croce e venti segnalini o anche meno in mappa? Esatto, non c’entravano nulla né la complessità reale delle regole (che non c’era) né la svogliatezza dei giocatori che non vogliono più apprezzare la sovrana magnificenza del wargame tradizionale (la possiamo smettere di offendere l’intelligenza di chi cerca esperienze diverse da quelle che riteniamo “canoniche”?). No, il problema è che proprio l’andamento del gioco, l’esperienza, il flusso della partita, le sfide intellettuali, l’impostazione di base… tutte queste cose sono realmente diverse.
E se questo valeva nel tragitto dagli “ibridi” eurowargame ai wargame hex and counter, The Hunt e Milito mi hanno fatto capire che è verissimo anche il contrario, ossia quando partiamo dallo stato mentale del wargamer tradizionale e ci approcciamo a un eurowargame che declina il suo contenuto storico in maniera diversa.
Qui il discorso è totalmente diverso, perché abbiamo un posizionamento sulla mappa ma il movimento viene fatto tramite punti azione variabili, abbiamo eventi di varia natura da contemperare ma sono dati dalle carte, abbiamo asimmetrie informative da tutte le parti ma sono gestite tramite intrecci complessi tra tutti questi elementi, abbiamo un’alea con dei modificatori per addomesticarla che però non possiamo accumulare direttamente… insomma, tutto diverso per l’appunto.
E tutta questa diversità genera spaesamento in chi la affronta utilizzando gli approcci e gli strumenti del wargame classico, cercando punti di riferimento che non ci sono e trovandosi a dover gestire forze ignote nell’ambito degli equilibri di gioco. Questo spaesamento può diventare così forte da generare addirittura un fenomeno di rigetto, che alcuni attribuiscono semplicemente al fatto che il titolo è un gioco elaborato e ricco di spunti ma anche congegnato in maniera diversa rispetto a quelli tradizionali e quindi “non fa per loro”… altri al fatto che “non è storico abbastanza, è solo un gioco da tavolo e basta”. Considerando quanto vi ho rotto le scatole sull’argomento della diversità di approccio storiografico nei giochi, penso che sappiate bene a quale dei due gruppi di giocatori vada la mia simpatia e comprensione.
Ma… e la complessità? Non dovrebbero essere giochi semplici questi?
Domande a cui rispondo con un altro interrogativo: non ci eravamo fatti le stesse questioni quando parlavamo dei folio games della Decision con quattro pagine di regole che invece in molti considerano terribilmente “complessi”?
Il fatto è che in The Hunt e Milito le meccaniche di base sono davvero semplici, come davvero semplici sono quelle dei folio della Decision… solo che le dinamiche da esse generate sono molto complesse da utilizzare per chi proviene da un approccio differente. Sono semplici entrambi, ma in maniera diversa; sono complessi entrambi, ma in maniera diversa.
L’eurogamer troverà il folio incomprensibile, il wargamer troverà il gioco ibrido incomprensibile… tuttavia, né il folio né The Hunt sono incomprensibili per la loro complessità meccanica, bensì lo diventano per la loro complessità gestionale che, seppur profondamente diversa, è comunque elevata. Potrà anche essere nascosta, come ci ricorda sempre Andrea Angiolino con la sua ottima definizione, ma c’è e colpisce in maniera diversa fette di pubblico diverse. Eppure, per quanto diverse, le soddisfazioni che entrambi i tipi di giochi forniscono sono egualmente valide, sia dal punto di vista simulativo che prettamente ludico!
Il che ci porta alla conclusione che il problema, almeno in massima parte, non è tanto quello delle “giovani generazioni che vogliono tutto e subito” o dei “vecchi grognards che sono contro le novità a prescindere”… forse anche questi sono dei malintesi di cui dovremmo liberarci.
Più semplicemente, si tratta di lingue o, forse in maniera ancor più attinente visto che con i giochi parliamo sempre di algoritmi, “linguaggi informatici” diversi parlati da persone diverse.
Il difficile (ma anche il bello) è riuscire a farli dialogare tra loro, per far scoprire a tutti la splendida diversità delle esperienze che il gioco storico in ogni sua forma (hint hint) può dare.
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